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Per chi non c’era le scorse due settimane, abbiamo iniziato lo studio del libro di Isaia con una panoramica di tutto il libro.
E' difficile fare una “panoramica”, perché il libro non è scritto come una “storia lineare”, un inizio, un centro, una fine, ma è la raccolta delle rivelazioni che Dio fa ad Isaia durante un periodo di oltre sessanta anni, alternate a racconti di ciò che Isaia vive e vede nel frattempo in Giuda.
Isaia scrisse più di settecento anni prima di Cristo, e descrive come pian piano il popolo di Dio va lontano dalle leggi di Dio, e cosa riceve in cambio... e non sono cose belle!
Un unico popolo ma ormai diviso in due regni, Giuda ed Israele.
Nella primo messaggio avevamo visto i primi 39 capitoli, che avevamo intitolato “Guai”. Se siamo abituati al Dio d’amore e di misericordia del Nuovo Testamento, qui dobbiamo rivedere il nostro giudizio; troviamo un Dio duro,contro il suo popolo, che permettere punizione su punizione, distruzione su distruzione, massacro su massacro.
Ma, con Simone nel secondo messaggio, abbiamo visto che il Signore non serba la sua ira per sempre, ma che anzi Dio è pronto a perdonare e ad amare fino alla millesima generazione SE lo riconosciamo come nostro Signore al di sopra di ogni cosa.
Nei capitoli da 1 a 39 il linguaggio è duro, ma come vi ho detto non è un libro “cronologico”, per cui i messaggi e le verità di Dio sono contenute lungo tutto il libro.
E Dio “semina” piccole parole che fanno riferimento ad un “residuo”, una minima parte del suo popolo, che tuttavia esiste all'interno di quella situazione tutta sbagliata; una parte che prima o poi tornerà a Dio... ma non per proprio merito.
Se la prima parte si intitolava “GUAI”, e la seconda “Il Signore non serba la sua ira per sempre”, la terza parte la potremmo intitolare “GIOIA” o “Non temere!”. Abbiamo già visto nelle due prediche precedenti l'apertura del capitolo 40. Questa:
“«Consolate, consolate il mio popolo», dice il vostro Dio. «Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, che essa ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». .” (Isaia 40:1-2)
Dio parla di una schiavitù: ricordate che quando scrive Isaia e Giuda non era stato ancora deportato in Babilonia, e Israele non era stato ancora deportato in Assiria Il ricordo della schiavitù in Egitto era lontano...
Di quale schiavitù sta parlando Dio, allora? Leggiamo Isaia 2:
“Infatti tu, Signore, hai abbandonato il tuo popolo, la casa di Giacobbe, perché sono pieni di pratiche divinatorie, praticano le arti occulte come i Filistei, fanno alleanza con i figli degli stranieri. Il suo paese è pieno d’argento e d’oro e ha tesori a non finire; il suo paese è pieno di cavalli e ha carri a non finire. Il suo paese è pieno di idoli: si prostra davanti all’opera delle sue mani, davanti a ciò che le sue dita hanno fatto.” (Isaia 2:6-8)
Il popolo si è creduto “libero” dopo l'Egitto, e ha cominciato ad approfittare di questa nuova libertà concessa, tanto da cadere di nuovo in una schiavitù forse peggiore della prima; la schiavitù della superstizione (pratiche divinatorie, arti occulte), la schiavitù del denaro (argento e oro), la schiavitù dell'avere (cavalli e carri), la schiavitù di dei costruiti a propria immagine e somiglianza nel modo che più gli fa comodo (idoli, opera delle sue mani).
Ciclicamente l'uomo vive questa situazione: passiamo da momenti terribili (una guerra, una dittatura, una carestia) dove invochiamo Dio come ultimo rifugio; e poi, non appena le cose si mettono a posto un po', facciamo della libertà per cui avevamo pregato Dio il posto dove facciamo come ci pare e piace.
Facciamo allora come se questa terra e non il Cielo fosse la nostra casa in eterno; ci “mettiamo comodi”, cerchiamo di conoscere il nostro futuro attraverso gli oroscopi, accumuliamo denaro e averi come se fossero per sempre nostri, e alla fine ognuno si fa un proprio dio da adorare: il danaro, il sesso, la carriera, una squadra di calcio, ecc.
Tutto questo Dio lo chiama “iniquità”. Parola difficile: cosa significa?
Iniquità è una parola di origine latina composta da due parti: “in” = “non” e “equitas” = “piano, paro, parallelo, giusto”
Rileggiamo i versetti del capitolo 40;
“«Consolate, consolate il mio popolo», dice il vostro Dio. «Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, che essa ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». .” (Isaia 40:1-2)
Dio dice che c'era un debito che è dato dalla iniquità del popolo.
Dio dice che il suo popolo è “iniquo”, ovvero “non parallelo”, non è in paro con quello che Dio ha fatto a suo favore, non riconosce che non è per la sua bravura che è libero e in una terra feconda, e per questo non rende culto e non rispetta colui che lo ha reso possibile.
Io sono commerciante, e do delle cose ai miei clienti senza pagare: quelle cose hanno un costo, e i miei clienti hanno un debito. I miei clienti per mettersi “in paro” prima o poi debbono pagare il costo di ciò che gli ho dato.
Cosa ci ha dato Dio? Potremmo mai ripagare Dio per la creazione? No di certo! Ma Dio ci offre la possibilità UNICA di “pareggiare il conto” di ciò che ha fatto lui, con la semplice obbedienza alle sue leggi. E' un affare!!! E, se non lo fai, sei “iniquo”.
Il debito di cui parla qui Dio era un debito di gratitudine verso di lui per averli liberati dalla schiavitù d'Egitto e per essere assieme a loro in ogni istante. (Vi ricordate? La colonna di fuoco la notte e la nuvola il giorno nel deserto.)
Il debito che ci rende iniqui di fronte a Dio è nella nostra stessa natura umana sin dalla creazione.
“Ecco il giardino di Eden, Adamo ed Eva, l'ho cerato per voi, è tutto vostro; solamente, non toccate quell'albero”...
“La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò” (Genesi 2:6)
Iniqui.
“Io vi ho liberato dalla schiavitù in Egitto, ho aperto il Mar Rosso per fari passare; solamente, non adorate altri dei all'infuori di me...”
“E tutto il popolo si staccò dagli orecchi gli anelli d’oro e li portò ad Aaronne. Egli li prese dalle loro mani e, dopo aver cesellato lo stampo, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: «O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!» “ (Esodo 32:3-4)
Iniqui.
“Io vi do ricchezza e benessere, e dei capi per guidarvi e aiutarvi; solamente, aiutate anche chi non ha nulla nella nostra società, ovvero vedove ed orfani.”
“I tuoi prìncipi sono ribelli e compagni di ladri. Tutti amano i regali e corrono dietro alle ricompense; non fanno giustizia all’orfano e la causa della vedova non giunge fino a loro.” (Isaia 1:23)
Iniqui.
Eppure, il capitolo 40 si apre con la parola “Consolate”. La parola più usata nella prima parte era “Guai” (21 volte); nella seconda Guai viene sostituita da “Gioia” (17 volte), “Non temere” (12 volte) e “consolazione” (11 volte); e poi speranza, letizia...
Dio dice che il debito è pagato, che il suo popolo non è più “iniquo” che sono “in pari” con quello che lui ha fatto a suo favore.
Al capitolo 41 Dio dice questo di Giuda e Israele:
"Tu, che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa, a cui ho detto: “Tu sei il mio servo”, ti ho scelto e non ti ho rigettato. Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia.” (Isaia 41:9-10)
Cosa è successo? Il popolo è improvvisamente “rinsavito”, e ha deciso di onorare e rispettare il Signore?
Ma neanche per sogno! Difatti Dio dice al capitolo 43:
“Tu non mi hai invocato, Giacobbe, anzi ti sei stancato di me, Israele! Tu non mi hai portato l’agnello dei tuoi olocausti e non mi hai onorato con i tuoi sacrifici; io non ti ho tormentato con richieste di offerte, né ti ho stancato domandandoti incenso. Tu non hai comprato con denaro canna odorosa per me e non mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici; ma tu mi hai tormentato con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. ” (Isaia 43:22-24)
No. Giuda e Israele non sono cambiati, e , mi spiace dirlo, dall'epoca non siamo cambiati neppure noi.
Perché allora Dio cambia parere? Continuiamo a leggere il capitolo 43 per scoprirlo:
“Io, io, sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati.” (Isaia 43:25)
E poi, al capitolo 48, riafferma;
“Per amore del mio nome io rinvierò la mia ira, e per amore della mia gloria io mi freno per non sterminarti. ...“Per amore di me stesso, per amore di me stesso io voglio agire; perché infatti dovrei lasciare profanare il mio nome? Io non darò la mia gloria a un altro.” (Isaia 48:9, 11)
Eccolo, il motivo! “Per amore di me stesso” dice Dio ben quattro volte in tre versetti. Dio ha capito che, quella sua creatura ribelle, pur sapendo quello che Dio ha fatto per lui, e pur conoscendo ciò che piace a Dio, continuerà nel suo folle progetto di non seguirlo, di non rispettarlo e di non riconoscerlo come unico Dio
Tutto questo si può riassumere in una sola parola: peccato. La parola peccato significa “non centrare il bersaglio, andare fuori dalla sagoma che fa da bersaglio”.
Paolo espone il problema in questi termini:
“Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7:21-24)
Chi, o cosa potrà mai interrompere questa spirale che ci vedrà ripetere in eterno gli stessi errori?
Capitolo 42:
“1 Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio Spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. 2 Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. 3 Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. 4 Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge». 5 Così parla Dio, il Signore, che ha creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce, che dà il respiro al popolo che c’è sopra e lo spirito a quelli che vi camminano. (questo è il nostro “debito” che dovremmo “ripagare a Dio per tutto quello che ha fatto per noi) 6 «Io, il Signore, ti ho chiamato secondo giustizia e ti prenderò per la mano; ti custodirò e farò di te l’alleanza del popolo, la luce delle nazioni, 7 per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre. (Isaia 42:1-7)
Ricordate che, già al tempo di Isaia, il popolo attendeva il “Messia”, che significa “l'unto”, il prescelto, colui che avrebbe riunito i due regni in uno solo, e avrebbe regnato con potenza. Gli ebrei attendevano un re terreno, che riunisse due regni terreni. Lo attendono ancora...
Nei piani di Dio invece c'era un re disceso dal Cielo, per riunire due regni molto più ampi: non solo Giuda e Israele, ma Ebrei e Gentili, ovvero, i “non ebrei”, ovvero, tutto il resto del mondo, affinché il popolo di Dio non fosse un popolo specifico, ma tutti coloro che avrebbero creduto in colui che avrebbe mandato.
Al capitolo 49 Dio descrive la grandezza e l'umiltà, il disprezzo e la gloria di colui che sarebbe venuto a rendere le cose “pare” tra noi e Dio.
“Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra». Così parla il Signore, il Redentore, il Santo d’Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: «Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei prìncipi pure e si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto». ” (Isaia 49:6-7)
Non un servo (è troppo poco! dice Dio) può essere lo strumento della salvezza fino alle estremità della terra, ma qualcuno che sia la luce delle nazioni ed ai cui piedi re e governanti di tutto il mondo si prostrino.
Più volte Dio aveva chiamato Giuda e Israele suoi servi; se quindi nessuno del suo popolo avrebbe mai potuto essere sufficiente per assolvere a questo compito, CHI MAI avrebbe potuto?
Dio, Dio solo, avrebbe potuto. Lui solo; ma lui è Dio, è spirito, non è un uomo. Questo avrebbe significato mandare qualcuno che avesse da un lato la sua medesima natura divina e dall’altro una forma d’uomo per scendere sulla terra…, per essere servo e strumento perfetto nelle mani del Signore
“ Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele (Dio con Noi) ” (Isaia 7:14)
Il residuo, la discendenza divina di cui parla Isaia, tornerà, ma non per merito proprio. Il debito della nostra iniquità che si chiama peccato, sarà pagato da un re.
Il re si chiamerà Gesù, e all'inizio del suo ministero terreno, leggerà nella sinagoga di Nazaret un brano da Isaia pronunciando queste parole:
"Lo Spirito del Signore è su di me: mi ha consacrato per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunciare la liberazione ai prigionieri, il recupero della vista ai ciechi; per liberare gli oppressi dai loro oppressori.” (Luca 4:18)
Ma vedremo meglio questi due brani la prossima settimana.
Preghiamo
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